Il Consiglio di Stato liberalizza gli alberghi di Viareggio

Gli appellanti vincono il ricorso

Finalmente svincolati gli hotel e le pensioni i cui immobili il Comune di Viareggio aveva destinato ad uso esclusivamente alberghiero sin dal piano strutturale adottato nel 2004 .

Dopo la pronuncia del Tar, che aveva dichiarato inammissibile il ricorso, difesi dagli avvocati Roberto Righi e Carlo Andrea Gemignani, i proprietari di un albergo di Viareggio hanno fatto appello al Consiglio di Stato, contro il Comune.

I ricorrenti sono proprietari, per successione ereditaria, di un fabbricato ad uso
alberghiero. l’hotel Losanna, in via Colombo, fusione di due villini  adiacenti, originariamente riconducibili a distinte proprietà, realizzati negli anni 20/30 del secolo scorso come abitazione signorile unifamiliare. Nei primi anni ’80 i “vecchi” proprietari avevano eseguito opere di ristrutturazione finalizzate al mutamento di destinazione e, successivamente,  avevano concesso in locazione il bene ad  esclusivo uso di pensione. Poiché, tuttavia, le due unità erano state oggetto di interventi edilizi in assenza di titolo abilitativo, era stata presentata domanda di condono per le modifiche interne ai vari piani e cambio di destinazione da civile abitazione a turistico – ricettiva a seguito della quale, l’amministrazione comunale aveva rilasciato una sanatoria. 

Rinnovata la locazione nel 2003,  l’hotel Losanna, classificato a “due stelle” e costituito da 13 camere con servizi sviluppate su due piani, privo di ascensore-, a causa delle progressive difficoltà, non economicità e onerosità nell’eseguire interventi strutturali e funzionali tali da consentire di migliorare la ricettività per adeguarla alle esigenze attuali del mercato turistico – alberghiero, veniva anticipatamente riconsegnato nella disponibilità dei proprietari.

Tale situazione determinava l’intendimento dei ricorrenti –manifestato fin dal subentro
nel rapporto locatizio-, di ripristinare l’originaria destinazione residenziale dell’immobile. Sennonché, nel riferito quadro fattuale, i ricorrenti apprendevano che lo strumento urbanistico del Comune di Viareggio nel disciplinare e regolamentare le attività alberghiere, escludeva per gli immobili con particolare valore architettonico, funzionale e tipologico collegato alla destinazione alberghiera (tra i quali il “Losanna”), il cambio di destinazione urbanistica.

Al Tar, il Comune di Viareggio, costituitosi per resistere, ha eccepito la tardività del ricorso e con sentenza numero 1567 del 26 novembre 2021, i giudici amministrativi di Firenze avevano dichiarato il ricorso irricevibile nella parte in cui è stato impugnato il piano strutturale e inammissibile nella parte in cui è stato censurato il regolamento urbanistico, condannando i ricorrenti alle spese, 3mila euro. Di qui il ricorso al Consiglio di Stato e all’udienza dello scorso 8 febbraio la decisione è stata che l'”appello è fondato” 

“Il ricorso di primo grado – scrivono i giudici del Consiglio di Stato –  proposto avverso il regolamento urbanistico del Comune  deve ritenersi  ammissibile in quanto assistito da un concreto e attuale interesse ad agire. La sentenza impugnata deve essere, pertanto, in parte riformata”.

Le discriminazioni introdotte con un regime vincolistico troppo lungo – spiegano i giudici –  sconfinano “oltre il ragionevole esercizio della discrezionalità legislativa”, venendo così a violare il principio costituzionale di eguaglianza. Il legislatore, con la legge 17 maggio 1983, numero 217 (“Legge quadro per il turismo e interventi per il potenziamento e la qualificazione dell’offerta turistica”), pur prevedendo all’articolo 8 (“Vincolo di destinazione”) la possibilità di istituire un vincolo di destinazione per le strutture ricettive, coerentemente ai principi affermati dalla Corte costituzionale, espressamente disponeva, al comma 5, la possibilità di rimozione del vincolo, dando carico alle Regioni, al successivo comma 6, di procedere all’individuazione delle modalità, fermo rimanendo che la detta limitazione dovesse in ogni caso venir meno “su richiesta del proprietario solo se viene comprovata la non convenienza economico-produttiva della struttura ricettiva. In diverse occasioni la giurisprudenza amministrativa si è occupata del tema dei vincoli alberghieri, affrontando la questione della possibilità o meno di subordinare la rimozione del vincolo alberghiero a condizioni ulteriori e diverse rispetto al presupposto dell’insussistente convenienza economica della gestione. La giurisprudenza chiamata a pronunciarsi sulla questione è sempre stata ferma nel valutare come legittimi unicamente criteri che siano effettivamente sintomatici della redditività economica. In altri termini, occorre prevedere la rimozione del vincolo alberghiero e occorre farlo alla presenza di alcune caratteristiche aziendali che siano oggettivamente correlate alla redditività dell’impresa alberghiera (come può essere, ad esempio, il numero delle camere). Sul punto, il Consiglio di Stato (Sezione Prima, Adunanza di Sezione del 24 febbraio 2021) ha affermato che, ai sensi dell’art. 8, l. 17 maggio 1983, n. 217, l’Ente locale può prevedere con discrezionalità criteri e modalità per la rimozione del vincolo alberghiero, distinguendo tra le diverse zone del suo territorio e tra le differenti tipologie di strutture (discrezionalità nel quomodo della rimozione), ma non può del tutto trascurare il profilo legato alla perdita di convenienza economico-produttiva dell’impresa alberghiera omettendo del tutto tale presupposto o introducendone di ulteriori non previsti dalla legge. Gli interventi normativi che si sono succeduti si sono, pertanto, mossi nell’ambito dei  principi di rango costituzionale e giurisprudenziale che permeano la materia. L’apposizione di un vincolo di destinazione d’uso alberghiero in tanto può ritenersi legittimo, e ancor più costituzionalmente compatibile, in quanto non sia destinato a perpetuarsi indefinitamente nel tempo.  Nel caso in esame, l’apposizione del vincolo di destinazione d’uso alberghiero al fabbricato degli appellanti, nella misura in cui risulta destinato a perpetuarsi indefinitamente nel tempo, immodificabile e non rimuovibile, risulta illegittimo poiché del tutto disancorato dalla previsione della sopravvenuta impossibilità o non convenienza economico-produttiva della destinazione prescritta. Se unica condizione a cui deve essere subordinata la rimovibilità del vincolo alberghiero è la comprovata non convenienza economica dell’impresa alberghiera, tuttavia è necessario che l’amministrazione comunale, nell’ambito della propria discrezionalità, preveda la possibilità di rimozione del vincolo a tal fine individuando specifici parametri idonei a rappresentare i fattori più rilevanti della capacità produttiva, correlati alla redditività obiettiva dell’impresa alberghiera”.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, lo ha accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza del Tar Toscana, accoglie, nei sensi e limiti in motivazione, il ricorso di primo grado nella parte in cui è stato impugnato il regolamento urbanistico comunale approvato con delibera di consiglio comunale  52 del 4 novembre 2019. 

 

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