Droga, smaltimento dei rifiuti e mercato immobiliare: i pentiti svelano gli affari delle cosche in Toscana

Cinque collaboratori di giustizia stanno tracciando un quadro inquietante ai giudici della Dda di Firenze

Anche i collaboratori di giustizia stanno confermando ai giudici della Dda di Firenze, ed altri, gli affari e i business delle mafie, e soprattutto della ‘ndrangheta, in Toscana, tra i più importanti c’è Salvatore Muto, ex braccio destro del superboss calabrese Nicolino Grande Aracri. Il pentito sta raccontando le sue verità ai magistrati disegnando la mappa delle attività criminali della potente e feroce cosca di ‘ndrangheta nelle province di Pisa, Livorno, Arezzo, Siena e Lucca, nei settori del traffico di sostante stupefacenti, smaltimento illecito di rifiuti e immobiliare edilizia. Al fine di aumentare e consolidare gli introiti per poi riciclare il denaro inquinando l’economica sana in ogni attività possibile.

Solo  tra gennaio e febbraio scorso alla cosca Grande Aracri in Toscana i giudici antimafia hanno sequestrato beni immobili e droga proprio come aveva detto un altro pentito ed ex contabile del clan Paolo Signifredi. Ma i pentiti sarebbero almeno 5, non solo calabresi, a sostegno della indagini toscane della Dda. Si tratta di inchieste diverse tra loro ma che per i giudici sono tutte riconducibili alla potente e feroce ‘ndrina calabrese Grande Aracri il cui boss dei boss, Nicolino, ha anche provato nei mesi scorsi ad accreditarsi come pentito ma la Dda di Catanzaro ne ha scoperto i veri disegni che erano tesi a creare caos che poi infatti vedendo che “non era aria” ha smentito ritrattando. Ma questa è un’altra storia, testimonianza ennesima della capacità di “truccare le carte” di tutte le mafie e della ‘ndrangheta in particolare. Oltre al fatto che i vari clan agiscono in perfetta sinergia sia se appartenenti alla ‘ndrangheta sia se appartenenti alle altre mafie. Gli affari prima di tutto, senza mai scontrarsi anche per non dare nell’occhio a gire indisturbati.

Le principali inchieste

Ovviamente tra le varie inchieste sul tavolo della Dda quella più scottante è quella denominata Keu, su un mega traffico illecito di rifiuti nel settore conciario. Ma ovviamente non c’è solo questo. In Italia non esiste nessuna regione libera dalle maglie della criminalità organizzata. La Toscana, in particolare, poi, è una delle regioni che negli ultimi anni ha visto maggiori infiltrazioni mafiose: è la seconda regione per caporalato e si conferma come uno dei territori privilegiati per attività di riciclaggio e reati economico-finanziari. In questo senso sono sempre maggiori i reati che coinvolgono i colletti bianchi e la pubblica amministrazione, e anche la politica. Indicativo è il fatto che negli ultimi tre anni, la Dda di Firenze, ha quasi triplicato le misure patrimoniali preventive. Nell’ultimo triennio fra sequestri e confische lo Stato ha congelato oltre 44 milioni di euro, beni controllati dai clan calabresi nella regione. E’ stato possibile tratteggiare questo quadro grazie alle varie e recenti operazioni degli inquirenti nelle varie province della Regione. A Siena, a gennaio scorso, ad esempio, o meglio nelle campagne senesi era stata acquistata una tenuta da 5 milioni di euro. Un acquisto riconducibile appunto al clan calabrese dei Grande Aracri di Cutro. La villa è finita sotto sigilli un paio di settimane fa dalla Dia di Firenze. Uno degli uomini inglobato al clan, era stato intercettato mentre diceva: “Tu piglia tutto, noi veniamo, abbiamo tutto… architetti, ingegneri, commercialisti… Non guardare il prezzo…”. Lo scorso 18 gennaio, questa volta tra Arezzo e Pisa, gli inquirenti hanno eseguito un altro sequestro di beni per un valore di 5 milioni di euro che ha colpito i clan di ’Ndrangheta beni riconducibili a Francesco Lerose, 52 anni, vicino alla cosca Gallace di Guardavalle e alla cosca Grande Aracri. Tale attività avrebbe consentito all’imprenditore di accumulare nel corso degli anni un ingente patrimonio. Per tale ragione, sono stati sequestrati i beni con il provvedimento notificato quest’oggi, ed emesso dal tribunale di Firenze, sulla base di una proposta di misura di prevenzione patrimoniale avanzata dall’ufficio misure di prevenzione e contrasto ai patrimoni illeciti della Dda fiorentina. Le rose per i giudici era l’uomo di riferimento di un gruppo di conciatori di Santa Croce sull’Arno, fiore all’occhiello dell’industria dell’abbigliamento made in Italy. Lerose è accusato di aver sotterrato illegalmente tonnellate di keu, fanghi tossici prodotti dagli scarti della concia delle pelli. L’inchiesta ha coinvolto nomi importanti. Le mani della ’ndrangheta sul ricchissimo indotto della concia erano già emersi nell’inchiesta nel caso che ha coinvolto Cosma Damiano Stellitano, 55 anni, referente delle famiglie Barbaro di Platì e Nirta di San Luca.

I pentiti e gli affari

Oltre a Muto e Signifredi altri collaboratori di giustizia hanno parlato degli affari della mafie in Toscana ai giudici della Dda fiorentina e non solo. In un’altra indagine della Dda napoletana infatti che aveva mandato alla sbarra il gotha dei casalesi, anni 2016-2017, per fatti risalenti ai primi anni duemila, alcuni collaboratori evidenziavano come “la monnezza” fosse oro colato.
Già allora Gaetano Vassallo, per vent’anni uno stratega dello smaltimento rifiuti tra Napoli e Caserta, alla fine pentito sotto protezione, rivelava: “Abbiamo scaricato tutti i fanghi della conceria di Santa Croce sull’Arno… Il clan aveva una base in Toscana. Il primo del mese andavo in Toscana a incassare da 700 a 900 milioni di lire. Meglio di un bancomat”. Un altro pentito, ora deceduto, Carmine Schiavone, parlò anni prima di rifiuti speciali da Santa Croce, da Firenze, da Prato, da Lucca e dalla zona di Viareggio, e in alcuni casi viceversa. Poi questo business all’inizio solo in mano alla camorra passò in gran parte dalla ‘ndrangheta e tra le altre cosche proprio alla cosca Grande Aracri, in un passaggio di testimone, o più verosimilmente di compravendita e sinergia, tre la varia organizzazioni criminali. I pentiti stanno raccontando anche gli investimenti nell’immobiliare tra la Versilia, il Pisano, il Senese e l’Aretino, sempre ad opera di cosche di ‘ndrangheta, oltre al traffico internazionale di cocaina, sfruttando il porto di Livorno, che porta sempre una montagna di denaro contante nelle casse dei clan, che vanno poi reinvestiti e riciclati in altre attività. Tutti questi business, presenti anche ni verbali dei lavori della commissione parlamentare  d’inchiesta sulle mafia in Toscana del 2018, (ma già negli anni ’90 altri lavori parlamentari evocavano scenari inquietanti) testimoniano la volontà dei clan di conquistare economicamente alcune province toscane per consolidare e in altri casi aumentare gli affari che per i boss sono sempre la cosa più importante di tutte. Insomma una marea di informazioni, frutto di attività investigative per cercare di arginare il fenomeno mafioso in Toscana nei vari procedimenti giudiziari in corso e in quelli in preparazione. Sullo sfondo di questa eterna battaglia tra il bene e il male in Toscana stanno per cambiare i massimi vertici degli inquirenti, perché il procuratore generale presso la corte d’Appello di Firenze, Marcello Viola, sta per andare a dirigere la procura di Milano e il capo della Dda fiorentina, Giuseppe Creazzo, dovrebbe nei prossimi mesi essere trasferito ad altra sede prima di andare in pensione. Chi subentrerà ai due magistrati, che rappresentano i principali sostenitori dell’accusa in primo e secondo grado di giudizio, spetterà un compito molto delicato e complesso: proseguire a sradicare dalla Toscana le mafie italiane e straniere.

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