Russia – Ucraina, il professor Tassinari: “Invasione da condannare, se ne esce solo con la diplomazia”

L'analisi attenta dell'insegnante di storia e filosofia al Michelangelo di Firenze, ora in pensione, sulle cause che hanno portato al conflitto

Professore, ora in pensione, dopo una vita passata a insegnare storia e filosofia al liceo classico Michelangelo di Firenze, Salvatore Tassinari insegna ancora, sia in presenza, all’Arci, che via web, con lezioni ad alunni adulti che quando erano giovani non hanno avuto la possibilità di studiare le due materie. Presidente della Pantagruel, associazione di volontariato che opera nel carcere di Sollicciano, con progetti di lavoro per le detenute,  Salvatore Tassinari, 93 anni compiuti lo scorso 24 dicembre, ancora molto attivo, sia fisicamente che mentalmente, ha trovato anche il tempo, e l’energia, per scrivere un nuovo libro, “Compagna Filosofia”.

Esperto di storia occidentale del ‘900, abbiamo chiesto a lui qualche riflessione in merito all’attuale conflitto, arrivato al 43esimo giorno, tra Russia e Ucraina.  

“Per fugare qualsiasi dubbio, dato che quello che verrò esponendo chiama in causa l’Occidente, la cosa che voglio chiarire subito è che occorre condannare assolutamente l’invasione dell’Ucraina da parte di Putin. Tale invasione lede il diritto internazionale, è un’azione sconsiderata, molto pericolosa, gravida di possibili conseguenze. Deve anche essere condannato il riconoscimento da parte di Putin delle repubbliche filorusse del Donbass, che si sono dichiarate indipendenti – premette il professor Tassinari –  Detto questo, credo che sia necessario un lavoro di informazione adeguato, che invece sta mancando. Quella offerta dalla nostra stampa, da quasi tutta la stampa, e dalla televisione, è un’informazione monca e parziale, ridotta soltanto alla considerazione dell’immediatezza degli eventi, evitando di risalire alle lontane origini di questa crisi, quando iniziarono a determinarsi le condizioni che avrebbero reso instabile l’area dei paesi ridosso della Russia, almeno a partire dall’ultimo decennio dello scorso secolo”.

Cosa è successo dalla caduta del muro di Berlino nel 1989 e poi all’implosione dell’Unione Sovietica nel 1991?

Avrebbe dovuto apparire maturo il tempo di un nuovo sistema internazionale, fondato, dopo tanti anni di bipolarismo Usa/Urss, sul multilateralismo e sullo scioglimento dei blocchi nati con la guerra fredda. Non fu così: come sappiamo, dei due blocchi ne rimase in piedi uno solo, rappresentato dalla Nato, che tutt’oggi, guidata dagli Stati Uniti, continua ad aggregare gran parte dei paesi europei, anche dell’est. Al bipolarismo si è venuto sostituendo per lungo tempo un sistema unipolare che, invece di dare stabilità e sicurezza ai rapporti internazionali, ha contribuito a rendere turbolento il mondo, fino all’attuale aggressione effettuata da Putin. Le conseguenze destabilizzanti del sistema unipolare hanno riguardato in particolare i paesi dell’est Europa, nati a una nuova indipendenza dopo la fine dell’Unione sovietica. Invece di facilitare una loro transizione equilibrata e democratica, gli Stati Uniti e la Nato hanno condotto una politica che ha favorito la deriva nazionalista e populista in quei paesi. In Ucraina, ad esempio, si sono diffusi addirittura gruppi neonazisti, come il battaglione Azov, attualmente arruolato all’interno della Guardia Nazionale ucraina. Questi paesi erano molto fragili, una volta usciti dal sistema autoritario sovietico, e devastati dallo stesso crollo dell’Unione Sovietica. E’ stata favorita in queste società la diffusione di una sorta di turbocapitalismo, che ha diffuso le povertà e le diseguaglianze e ha favorito la crescita della corruzione, che a sua volta ha creato sacche di ricchezza enorme concentrata nelle mani di pochi privilegiati, che si sono spesso impadroniti del potere e si sono valsi della criminalità e della corruzione per conservarlo. Dicevo della fragilità di questi paesi: si tratta di società ognuna delle quali è fatta di nazionalità diverse, di religioni diverse, di lingue diverse, e tutto questo è foriero di conflitti, di violazione dei diritti umani, di persecuzione delle minoranze. Nella stessa Ucraina è storica la necessità del rispetto delle minoranze, un paese in cui il 20% della popolazione è convintamente russofona, il 25% a Kiev, fino al 90% nelle regioni orientali, quelle appunto del Donbass, che sono sostanzialmente filorusse.

Qual è stata la politica che in questi trent’anni è stata condotta dalla Nato?

“Quella, per esempio, di fare dei paesi dell’est Europa gli avamposti militari dell’Alleanza Atlantica, una spina nel fianco della Russia. Questo allargamento della Nato verso l’est, verso i confini russi, è stato deciso già nel 1997, nonostante che gli Stati Uniti e gli altri dirigenti occidentali avessero dato anni prima a Gorbačëv garanzie in senso contrario, e nonostante che negli ultimi anni, subito dopo il 1991, la Russia aspirasse ad avvicinarsi all’Europa occidentale, e le élite russe avessero accettato la liquidazione del proprio impero senza alcuna resistenza. Gorbačëv in particolare, ispirato da una sua sensibilità culturale per i problemi della pace, aveva promosso una politica di disarmo e l’aveva concordata con il presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan, ambedue convinti allora, nel 1987, che una guerra nucleare avrebbe dovuto essere evitata a ogni costo. Questa stagione, che sembrava preludere all’integrazione della Russia nel cuore dell’Europa, doveva tramontare presto. Nel ’97 la Nato decideva di estendersi ad est, nonostante che alcune figure di primo piano degli Usa avessero espresso il loro disaccordo. Ad esempio George Kennan, che era stato uno degli artefici della politica della guerra fredda, aveva previsto lucidamente le conseguenze di una tale decisione. Questo è un passo di una sua dichiarazione: “L’allargamento della Nato sarebbe il più fatale errore della politica statunitense dalla fine della guerra fredda, ci si può aspettare che questa decisione susciti tendenze nazionalistiche, antioccidentali e militaristiche nell’opinione pubblica russa, che faccia rivivere un’atmosfera da guerra fredda nelle relazioni est/ovest e che orienti la politica estera russa in una posizione che non sarà quella che noi vorremmo”. Sono parole lungimiranti, che non sarebbero state ascoltate. E infatti, nel ’99, Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca entrano nella Nato, e in questi due ultimi stati sono state installate basi missilistiche. Fino ad oggi sono nove i paesi dell’Europa orientale che sono entrati nella Nato e che circondano da tutte le parti la Russia, dalle Repubbliche baltiche nel nord, alla Polonia, alla Repubblica Ceca, la Slovacchia, la Romania, l’Ungheria, la Bulgaria. Dal nord al sud dell’Europa la Russia è circondata militarmente dalla Nato- A questo proposito un giornalista di “Sbilanciamoci”, Giulio Marcon, ha scritto: “Come avrebbero reagito gli Stati Uniti se il Canada avesse partecipato a un’alleanza militare guidata da Putin? D’altronde ancora ci ricordiamo di come reagirono gli americani quando, sessant’anni fa, i sovietici installarono i missili a Cuba. Si rischiò una nuova guerra mondiale”. I paesi della Nato oggi avrebbero dovuto avere la saggezza che ebbe, in quel frangente, Chruščēv , quando ritirò i missili da Cuba. Ma credo che a questo punto sia necessario almeno accennare alla nascita della Nato e al perché della sua sopravvivenza. La Nato nasce nel 1949, nei primi anni della guerra fredda, come braccio militare dell’Alleanza atlantica. Ebbe un carattere rigorosamente difensivo, come recitava l’articolo 4 del suo documento di fondazione. Nel ’54 sarebbe nato il Patto di Varsavia, che univa all’Unione Sovietica i paesi cosiddetti satelliti dell’Europa orientale. Era la consacrazione della divisione del mondo in due blocchi contrapposti. Logica avrebbe voluto che, dopo la caduta del muro di Berlino e dopo l’implosione dell’Unione Sovietica, la Nato si sciogliesse, come si stava sciogliendo il patto di Varsavia. Non fu così. Anzi tra il ’91 e il ’99 intervenne una revisione dello Statuto della Nato che ne fece un’alleanza militare non più puramente difensiva. Un nuovo concetto strategico attribuì all’alleanza una nuova missione, che fu detta “gestione delle crisi”. Il che voleva dire che la Nato, portatrice di interessi politici ed economici unilaterali degli Usa e dei suoi alleati, avrebbe potuto intervenire in qualunque punto del globo dove fosse scoppiata una crisi e dove fossero da tutelare gli interessi degli alleati. Questo equivalse all’esautorazione dell’Onu, che pure era la rappresentante dei paesi di tutti i continenti ed era nata proprio con il compito di risolvere le crisi internazionali. La Nato si sostituì a quella che doveva essere la funzione dell’Onu. Tanto è vero che l’Onu oggi non conta quasi più nulla. Sarebbe necessario un rilancio dell’Onu una sua riforma, a cominciare dall’abolizione del diritto di veto dei membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, pochi stati che possono bloccare qualunque risoluzione. In questo modo, l’Onu è paralizzato, con il sacrificio degli interessi di interi continenti. Da quel momento, dal momento in cui la Nato diventa un’altra cosa, sono seguite l’una dopo l’altra crisi internazionali devastanti: le guerre nella ex Jugoslavia, a partire dalla Bosnia; la guerra del ’99 contro la Serbia, condotta senza il consenso dell’Onu. Su Belgrado sarebbero cadute le bombe della Nato (con aerei partiti anche dalla base Nato di Aviano in Italia), come nel ’41 erano cadute le bombe di Hitler. Nel 2001, l’inizio della sciagurata occupazione dell’Afghanistan; nel 2003 la guerra contro l’Iraq promossa dagli Stati Uniti e dai suoi alleati (tra cui l’Italia) sulla base di una menzogna. Tutti ci ricordiamo della fiala sbandierata dal segretario di stato americano Colin Powell al Consiglio di Sicurezza dell’Onu quale prova del possesso da parte dell’Iraq di armi chimiche di distruzione di massa. Si trattava di una menzogna, come è stato poi dimostrato. Sull’Iraq, un paese sovrano invaso, sarebbero state scaricate centinaia di migliaia di bombe, a grappolo, a frammentazione, con uranio impoverito”.

Ma perché rievoca questi eventi? Cosa c’entrano col dramma attuale dell’Ucraina?

C’entrano. Prima di tutto perché gli Stati Uniti e la Nato non sono stati condannati come responsabili delle loro azioni (a cominciare dall’invasione dell’Iraq e dell’Afghanistan), lesive del diritto internazionale, mentre oggi, giustamente, Putin viene accusato dagli Stati Uniti e dall’Unione europea di aggressione a uno stato sovrano. Come dire: si può invadere l’Iraq, o un qualsiasi altro paese extraeuropeo, ma non l’Ucraina. Larga parte delle classi politiche dell’Unione europea, che giustamente esprimono oggi la condanna di Putin, non furono pronte allora nella condanna dell’invasione dell’Iraq. E ancora: chi ha protestato tra i governi dell’Occidente contro l’occupazione e la colonizzazione israeliana della Palestina, che prosegue da 65 anni, ed è stata condannata tra gli anni ’60 e ’90 da molteplici risoluzioni dell’Onu, che imponevano a Israele di ritirarsi nei confini del ’56? E ancora: abbiamo visto abbattere, in questa maledetta guerra contro l’Ucraina, un grattacielo e lo abbiamo denunciato, giustamente, come un crimine di guerra. E’ di questi giorni la notizia della distruzione di un ospedale pediatrico, nel sud est dell’Ucraina. E’ vero, l’Ucraina oggi subisce bombardamenti crudeli e feroci, ma è anche vero che non più tardi di un anno fa, nel maggio del 2021, Israele ha bombardato selvaggiamente Gaza senza che nessun paese protestasse per questa iniziativa. Tutto questo fa pensare che “esportare la democrazia” con le bombe in Iraq, in fondo un paese “diverso”, non sia apparso così esecrabile come sarebbe stata invece l’invasione di un paese europeo. E così non appare esecrabile che Israele possa impunemente occupare militarmente un paese arabo, negando diritti e libertà di un altro popolo. Io qui avverto qualche segno di latente razzismo. Un latente razzismo che purtroppo torna a manifestarsi anche oggi: i profughi ucraini vengono giustamente, doverosamente, accolti dai paesi dell’Unione europea, in prima fila la Polonia. Non così però i profughi provenienti dal mondo arabo e dall’Africa, a cui si chiusero, fino ad oggi, le frontiere della maggior parte dei paesi europei, a cominciare proprio dalla Polonia, che fino a ieri, fino ad oggi, ha sbarrato l’accesso dalla Bielorussia a migliaia e migliaia di profughi dalle guerre e dalla fame. E allora sembra sia il colore della pelle a fare la differenza”.

Torniamo alla crisi attuale, solo per accennare ad alcuni momenti precedenti l’attuale crisi e guerra in Ucraina.

Nel 2007, alla Conferenza di Monaco sulla sicurezza internazionale, Putin tenne un discorso molto propositivo, soprattutto sulla necessità di proseguire nelle politiche di disarmo e di non proliferazione delle armi atomiche; denunciò anche, in un lungo discorso di cui si può trovare il testo in internet, il pericolo rappresentato da rapporti internazionali fondati sull’unipolarismo e sostenne la necessità di valorizzare il multilateralismo. Le sue proposte rimasero inascoltate. Nel 2008 Putin partecipa al summit Nato/Russia e chiede che la Nato non avanzi verso est. Per tutta risposta la Nato apre alla possibilità, proprio in quel summit, di estendere l’alleanza a Ucraina e Georgia. Nel 2009 la Nato installa in Polonia sistemi missilistici. Dal 2008 ha inizio la politica aggressiva, a iniziare dall’invasione della Georgia. Nel 2014 procede all’occupazione militare della Crimea e alla sua annessione alla Federazione russa, un atto contro il diritto internazionale. Era però, questa, la sua risposta, non giustificabile, alla cosiddetta “rivoluzione ucraina” del 2013, sostenuta dall’Occidente, e culminata nel 2014 con la deposizione del governo dell’allora presidente ucraino Victor Janukovyč, nonostante che la sua elezione nel 2010 fosse stata riconosciuta dagli osservatori internazionali del tutto conforme agli standard democratici. Janukovyč veniva accusato di aver stretto un’alleanza con la Russia. Il governo che gli subentra stipula una specie di associazione con l’Unione europea. Infine, gli accordi di Minsk del settembre 2014, intesi a trovare una soluzione al conflitto armato apertosi fin da allora nelle province ucraine orientali del Donbass, prevedevano la concessione a queste province di un’autonomia che allontanasse il rischio di una loro secessione. Questi accordi furono sottoscritti, con la mediazione di Francia e Germania, così dall’Ucraina come dalla Russia. A tutt’oggi, a questi accordi l’Ucraina non ha ancora ottemperato, al che ha fatto seguito la dichiarazione di indipendenza da parte delle autoproclamatesi repubbliche del Donetsk e del Lugantsk nel Donbass. Alla vigilia dell’aggressione all’Ucraina, Putin ha dichiarato che gli accordi di Minsk non esistono più e ha proceduto al riconoscimento illegittimo delle repubbliche ribelli del Donbass. Questa è la lunga storia delle relazioni internazionali nell’ultimo trentennio. Senza avere presente questo quadro complessivo della situazione e della illegittimità della Nato che si è sostituita all’Onu non si capisce nulla della situazione attuale; il che non ci esonera comunque dal condannare la politica imperiale e aggressiva di Putin, sostanzialmente un dittatore che toglie al proprio popolo il diritto all’informazione. Quindi “senza se e senza ma” condanno questa guerra, ma le responsabilità sono antiche e l’Occidente c’entra”.

Si può uscire da questa situazione?

Secondo me da questa situazione si esce solo con la diplomazia, non sono favorevole all’invio di armi agli ucraini, non sono favorevole alla richiesta insensata che il presidente ucraino ha fatto alla Nato perché intervenga con propri aerei da combattimento. Sarebbe l’apertura di una guerra perlomeno europea. Credo che una base per una riconciliazione sia sicuramente l’impegno dell’Ucraina alla neutralità, senza la quale il rapporto Russia/Europa occidentale è destinato a rinnovare crisi dopo crisi. Inoltre penso che in un sistema internazionale caratterizzato dal multilateralismo, dall’assenza di un’egemonia di tipo unipolare, le relazioni internazionali sarebbero molto più gestibile e sarebbero possibili anche accordi, oltre che politici anche economici, tra i vari paesi. E’ necessario creare una condizione in cui la Russia entri nella realtà europea occidentale, vi sia accolta, perché la Russia è Europa. Compito dell’Unione Europea, secondo me, non è quello di inviare armi , bensì quello di proporre un grande convegno internazionale, un grande tavolo negoziale, in cui vengano affrontati i problemi, a cominciare da quello dell’Ucraina, ma anche tutta una serie di altri problemi. Senza una iniziativa importante a livello diplomatico non se ne esce e non si pone fine alla guerra. L’Unione europea balbetta, essendo prevalentemente un’unione monetaria, senza capacità di decisione politica; ci sarebbe anche qui bisogno di una democratizzazione dell’Unione, mentre purtroppo premono le spinte nazionaliste”.

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