I vigili del fuoco ricordano la Liberazione di Firenze con il sindaco e un rappresentante dei lavoratori della Gkn

L’elmo indossato questa mattina dal vigile del fuoco presente sulla Torre di Arnolfo, è lo stesso che utilizzò Franco Budini nel 1944.

Nella giornata di oggi (11 agosto) i vigili del fuoco di Firenze alla presenza, tra gli altri, del sindaco Dario Nardella e di un rappresentante dei lavoratori della Gkn, hanno partecipato all’apertura delle celebrazioni del 77° anniversario della Liberazione di Firenze.

La campana posta sulla Torre di Arnolfo fu suonata l’11 agosto del 1944 da Franco Budini, un vigile del fuoco in servizio presso il distaccamento posto in Piazza della Signoria, per chiamare i fiorentini a raccolta per la battaglia e la liberazione di Firenze.

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Una curiosità: l’elmo indossato questa mattina dal vigile del fuoco presente sulla Torre di Arnolfo, è lo stesso che utilizzò Franco Budini nel 1944.

Durante gli anni che precedettero la Seconda guerra mondiale e nel corso del conflitto i vigili del fuoco conobbero un rafforzamento dell’organico e della specifica preparazione del personale in funzione della difesa antiaerea: segni premonitori di quelli che sarebbero stati i lutti e le distruzioni cui anche Firenze, come il resto d’Italia, sarebbe andata incontro.

Evidentemente consapevoli di ciò che la città doveva attendersi, le autorità locali ai primi del 1943 fecero progettare ai vigili del fuoco la realizzazione di ben 25 vasche d’acqua rifornite dall’acquedotto comunale, verosimilmente in previsione di dover servire allo spegnimento di incendi causati da bombardamenti da parte dell’aviazione alleata.

In quel periodo i vigili del fuoco dei vari comandi provinciali furono impegnati un po’ in tutta Italia a prestare soccorso alle popolazioni degli agglomerati urbani sottoposti ai sempre più frequenti e distruttivi raid aerei.

Anche Firenze fu colpita duramente, a partire dal primo attacco aereo alleato del 25 settembre 1943: gli allarmi e le incursioni divennero incubo continuo per la popolazione (si registrarono oltre centro allarmi nel 1943 e più di trecento nel 1944) tenendo costantemente allertati i vigili del fuoco fiorentini, pronti ad intervenire – allorquando i micidiali ordigni fossero caduti dal cielo – con le forze ed i mezzi dislocati nei sette distaccamenti approntati in città. Il Comando era presso le Scuole Niccolini di via di Scandicci, mentre la caserma di via La Farina funzionava da distaccamento; altri punti di vigilanza erano costituiti presso i Macelli comunali di via Circondaria, a Gavinana in un’autorimessa di via Poggio Bracciolini, a Porta Romana sempre in un’autorimessa privata, all’aeroporto di Peretola, a Palazzo Pitti ed a Palazzo Vecchio, ove fu installato uno stabile servizio di vigilanza sulla Torre di Arnolfo.

L’opera di soccorso e di estinzione delle fiamme si rivelava ad ogni incursione sempre più difficile, nonostante l’organico portato a 450 unità e la più capillare distribuzione di distaccamenti sul territorio comunale. Dopo quello del 25 settembre del ’43, con i suoi oltre duecento morti, Firenze subì nuovi bombardamenti il 18 gennaio del ’44 (nella zona di San Gervasio) e l’8 febbraio successivo. Poi l’aviazione alleata tornò a colpire l’11 marzo (Campo di Marte, Mugnone, Rifredi, San Jacopino, Deposito ferroviario Careggi) ed il 23 dello stesso mese (Campo di Marte, Cure, viale dei Mille, via Aretina, Ponte del Pino).

Ma le incursioni più pesanti si registrarono tra il 1 e il 2 di maggio, quando la città vide piovere ordigni su ordigni da Porta a Prato a Rifredi, da Campo di Marte a Monticelli con un effetto devastante. Il primo giorno tra i luoghi più colpiti vi fu la zona tra le Officine ferroviarie di Porta a Prato e la Stazione centrale: in particolare venne quasi completamente distrutto il Teatro Comunale. Le bombe centrarono in pieno il palcoscenico con effetto devastante su tutta la struttura musicale e La Nazione scrisse poi di non sapere “se l’opera piena di abnegazione dei nostri vigili del fuoco potrà salvarne almeno una parte”. Sempre sul quotidiano cittadino si leggeva che “i vigili del fuoco sono accorsi prontamente con tutti gli automezzi a disposizione ed hanno evitato che le fiamme, alimentate dal vento, si propagassero agli stabili vicini”.

Se il 1 maggio le Officine ferroviarie di Porta a Prato furono solo marginalmente colpite, il bombardamento del giorno seguente – il sesto che Firenze subiva ed il più violento – recò morte e distruzione proprio tra i capannoni dove venivano riparati vagoni e locomotive. Le Officine subirono danni ingentissimi e le fiamme arsero in esse e nelle immediate vicinanze per vari giorni, tanto che, dovendo i vigili del fuoco mettere all’opera tutti i mezzi a loro disposizione, si fece addirittura ricorso anche alla vecchia pompa a vapore soprannominata “Checca”, che lavorò senza pausa aspirando acqua dal Fosso Macinante.

Poi, mentre gli alleati risalivano la penisola e la Resistenza andava prendendo vigore nel Paese, furono i mesi che prepararono l’insurrezione contro l’occupante nazista, fin quando l’11 agosto 1944 – e i pompieri a quella data erano praticamente privi ormai di qualsiasi strumento di intervento a causa della requisizione dei mezzi da parte dei tedeschi sul piede di partenza. Firenze si sollevò contro nazisti e fascisti. L’annuncio dell’evento venne dato alla popolazione, alle 6.10 del mattino, col suono della Martinella, la storica campana di Palazzo Vecchio, deputata a chiamare i fiorentini a raccolta e alla lotta, secondo antica e secolare tradizione. In quel giorno di insurrezione, a suonare la Martinella – ai cui rintocchi fece eco il campanone del Bargello – fu uno dei vigili del fuoco del distaccamento posto – sin da epoca medievale – nell’antico edificio di Piazza della Signoria, simbolo della città. Cominciava così, con un pompiere a suonar la carica, la battaglia per la Liberazione di Firenze. Né mancarono, nelle ore drammatiche dell’agosto del ’44, i tributi di sangue da parte di membri del Corpo. Proprio nel giorno della liberazione della città moriva il vigile Dante Riccitelli, vice brigadiere, colpito da un cecchino mentre su una piccola imbarcazione studiava, nei pressi del Ponte alle Grazie, la possibilità di gettare una passerella per rendere più rapido ad alleati e partigiani il guado dell’Arno. Una settimana dopo, nel tentativo di soccorrere due persone, una donna e un milite della Croce Rossa Internazionale rimaste ferite al Ponte Rosso per lo scoppio di una mina, perdeva la vita – a sua volta colpito da un ordigno esplosivo – il vigile Giuseppe Sessoli (medaglia d’oro Carnegie e medaglia d’argento al valor civile alla memoria) a cui fu poi intitolata la caserma di via La Farina, struttura che proprio quest’anno compie cento anni dalla sua inaugurazione, avvenuta nel novembre del 1921.

 

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