‘Ndrangheta in Toscana, 23 in manette per narcotraffico e estorsioni. Nei guai anche imprenditori conciari

Smaltimenti illeciti e appalti pilotati: blitz e sequestri dei carabinieri

L’ombra della ‘ndrangheta sugli affari in Toscana: un giro di concorrenza violenta e sleale, unita ad estorsioni, reati ambientali e, in un altro filone, anche allo spaccio internazionale di stupefacenti. Sono soltanto alcuni aspetti su cui ha fatto luce una indagine della Dda di Firenze delegata ai carabinieri del raggruppamento operativo speciale insieme ai carabinieri di Livorno e con il supporto dei comandi della Toscana, Liguria, Lombardia, Lazio e Sardegna che questa mattina (15 aprile) su richiesta del sostituto procuratore Eligio Paolini hanno eseguito 17 arresti nei confronti di persone accusate a vario titolo, di associazione per delinquere finalizzata all’estorsione, illecita concorrenza con violenza e minaccia, sub-appalto irregolare ed altro, nonché associazione per delinquere finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti, detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, favoreggiamento personale, il tutto aggravato sia dal metodo mafioso che dall’avere agevolato la cosca Gallace di Guardavalle, in provincia di Catanzaro. A questi si aggiungono altri 6 arresti per reati ambientali, concentrati nel comprensorio del cuoio. Qui è indagata la sindaca di Santa Croce, Giulia Deidda.

carabinieri

Tra i 19 indagati, sei risultano denunciati a piede libero e quattro di essi sono esponenti politici toscani e dirigenti di enti pubblici: si tratta di Ledo Gori, capo di gabinetto del presidente della Regione Toscana, Eugenio Giani ed ancora prima di Enrico Rossi, il dirigente della direzione ambiente ed energia della Regione, Edo Bernini, il consigliere regionale Andrea Pieroni (Pd), oltre alla sindaca di Santa Croce. Con l’ipotesi di corruzione e abuso di ufficio sono indagati Gori, Bernini e Pieroni. Stessi reati ipotizzati per Deidda, presidente di Poteco, nei confronti della quale è contestata anche l’associazione a delinquere in concorso con un gruppo di imprenditori del settore conciario indagati nella stessa inchiesta.

I provvedimenti sono scattati a seguito di due principali filoni d’inchiesta curati dal Ros dei carabinieri, il primo relativo all’ingente approvvigionamento di cocaina da parte della Cosca calabrese e la successiva distribuzione in Toscana, nel cui ambito è stato arrestato durante l’inchiesta un noto latitante di ‘ndrangheta. Il secondo riguarda l’infiltrazione in Toscana della cosca Gallace nel settore del conferimento inerti attraverso il controllo diretto su una storica azienda mugellana, la quale ha condizionato la concorrenza locale (imponendo la forza criminale della consorteria mafiosa) aggiudicandosi importanti commesse pubbliche a discapito di altre aziende di settore.

L’indagine partita nel 2018 si è sviluppata ipotizzando il controllo da parte della cosca del mercato del movimento terra (estorsioni e illecita concorrenza) in diverse provincie toscane, mediante attività estorsive e illecita concorrenza con violenza o minaccia, da parte di alcuni dirigenti di vertice della storica impresa di settore Cantini Marino srl di Vicchio per il tramite, secondo l’accusa, dell’impresario Graziano Cantini e del suo principale collaboratore Nicola Verdiglione, secondo gli inquirenti direttamente collegati a personaggi organici al clan Gallace e che avrebbero sfruttato la forza della consorteria mafiosa per imporsi sul mercato del movimento terra/fornitura inerti a discapito di aziende concorrenti, “infiltrandosi” di fatto in importanti commesse pubbliche in Toscana. Queste condotte sarebbero state adottate a carico diversi imprenditori/tecnici di settore in relazione alla fornitura di materiale per i lavori da eseguire in un importante cantiere relativo ad un appalto milionario nella zona di Castelfiorentino e Empoli.

Sono stati riscontrati legami di comodo con la pubblica amministrazione aretina e in particolare del Consorzio Bonifica Valdarno per l’assegnazione diretta di lavori per importi contenuti (sotto soglia), su cui sono in corso approfondimenti investigativi.

Tra gli episodi contestati spicca l’estorsione di un impresario calabrese con il concorso dell’imprenditore crotonese  Francesco Le Rose, arrestato oggi anche nella parallela indagine antimafia della Procura distrettuale di Firenze per reati in materia di smaltimento illecito di rifiuti ed altro, aggravati dall’agevolazione mafiosa

Il gip nell’ordinanza sostiene che “il rilevante compendio probatorio raccolto nel procedimento evidenzia, al di là degli episodi clamorosi di intimidazione, un sodalizio tra gli indagati … finalizzato ad acquisire il monopolio di attività economiche del settore cui opera la Cantini Marino srl, strettamente collegata Figlinese Inerti srl, nonché (in maniera meno “scoperta”, dato lo spessore criminale dei suoi componenti) la Idrogeo srl (con la precisazione che rispetto a quest’ultima il quadro probatorio non può ritenersi esaustivo). L’acquisizione di questo monopolio di fatto è resa possibile dalla presenza di due grossi esponenti della criminalità calabrese, operanti in Toscana nel Valdarno da epoca risalente, che non si limitano a dare il proprio benestare ma altresì influiscono, con la forza intimidatrice della organizzazione criminale di appartenenza, in modo da determinare equilibri che fuoriescono da quelli normali del libero mercato, secondo una logica non concorrenziale bensì impositiva e di assoggettamento”.

Piuttosto articolato anche il filone di indagine relativo ad un giro di narcotraffico internazionale, che ha portato al sequestro totale di circa 191 chili circa di cocaina (maggio 2017 – agosto 2019) nel cui contesto sarebbe maturato la localizzazione e l’arresto del latitante Francesco Riitano individuato sotto falso nome a Giardini Naxos, in quanto destinatario di un provvedimento cautelare del gip di Milano emesso a coronamento di un’indagine antidroga dei carabinieri di Milano e Ros. Il latitante è stato individuato grazie al suo legame con l’indagato Domenico Vitale, il quale lo avrebbe incontrato periodicamente in località segrete secondo quanto emerso nell’inchiesta.

Il duo secondo i carabinieri rappresenterebbe il vertice del gruppo, e sarebbe legato alla cosca: in questo filone investigativo è stata individuata una base logistica in provincia di Pisa, nel capannone di uno degli indagati, utilizzato per l’accusa, sia per stoccare grosse quantità di stupefacente che per occultare armi, parte delle quali venivano sequestrate lo scorso 7 gennaio scorso dai carabinieri di Livorno in occasione di un’operazione – collegata alla presente inchiesta – condotta dalla Dda di Cagliari, che ha portato all’arresto di Robertino Dessì che figura tra gli arrestati di oggi e che è accusato di essere organico ad un ulteriore gruppo di matrice sarda specializzato in assalti a furgoni portavalori.

Contemporaneamente è in esecuzione un’ulteriore ordinanza di custodia cautelare per traffico di internazionale di sostanze stupefacenti a cura della Guardia di Finanza su mandato della dda di Catanzaro all’indirizzo di esponenti della Cosca Gallace di Guardavalle.

Un altro filone, diretto dal nucleo ambientale dell’Arma, ha riguardato la gestione dei rifiuti, specificamente dei reflui e dei fanghi industriali, prodotti nel distretto conciario tra le provincie di Pisa e di Firenze.

Alcune persone al vertice dell’associazione conciatori di Santa Croce sull’Arno rappresentano il fulcro decisionale di tutto l’apparato oggetto dell’indagine, che agisce con le modalità e la consapevolezza di un sodalizio organizzato per la commissione di reati, utilizzando a tale scopo i vari consorzi che compongono, ciascuno nel proprio ruolo, il circuito stesso del comparto. Quello che si è venuto a creare negli anni è un vero e proprio sistema che vedrebbe coinvolti l’associazione conciatori di Santa Croce ed alcuni singoli consorzi.

Il comparto industriale della concia delle pelli rappresenta un settore di particolare rischio ambientale per la produzione di rifiuti, la cui gestione illecita provoca conseguenze in termini di contaminazione dei corpi recettori nei quali vengono recapitati gli scarichi, ma anche contaminazione dei suoli nei quali vengono riutilizzati i rifiuti, fittiziamente recuperati o sottoposti a procedure di gestione insufficienti. Le indagini hanno messo in luce come il meccanismo costruito negli anni, che avrebbe dovuto assicurare un riciclo praticamente totale dei rifiuti prodotti dal comparto, con un conferimento in discarica sostanzialmente residuale, di fatto non raggiunge il risultato di ottenere un ciclo che recupera i rifiuti efficacemente e lecitamente.

In particolare è emerso che i rifiuti derivanti dal trattamento dei fanghi della depurazione degli scarichi delle concerie trattati dal complesso industriale Aquarno, e denominati Keu, consistevano in ceneri che presentano concentrazioni di inquinanti tali da non poter essere riutilizzati per recupero in attività edilizie di riempimento di rilevati o ripristini ambientali, ed invece – sempre stando alle accuse – erano inviati ad un impianto di produzione di materiali riciclati che provvedeva a miscelare questo rifiuto con altri inerti e a classificarlo materia prima per l’edilizia, così da essere impiegato in vari siti del territorio con concreto pericolo di contaminazione del suolo e delle falde. Inoltre sono emerse altre criticità per quanto le attività di scarico delle acque depurate operate dallo stesso depuratore Aquarno che riversa nel corpo recettore, il canale Usciana, acque non adeguatamente depurate. Anche la fase di lavorazione del cromo esausto ha presentato notevoli profili di criticità, essendo commercializzato dopo un trattamento, come materia prima pur non avendone i requisiti, e rimanendo un vero e proprio rifiuto.

Di particolare rilievo, sostiene l’Arma, la circostanza che il titolare dell’impianto di trattamento abusivo dei materiali riciclati Francesco Lerose sarebbe stato in stretto contatto con ambienti di spessore criminale della cosca Gallace, i quali per l’accusa, avevano preso il controllo del subappalto del movimento terra per la realizzazione del quinto lotto della strada 429 empolese. Grazie a questi contatti e infiltrazioni risulterebbero stati smaltiti abusivamente per gli inquirenti nei rilevati della superstrada circa 80mila tonnellate di rifiuti contaminati.

Questo episodio costituisce il collegamento investigativo tra l’indagine Keu e l’indagine svolta dai carabinieri del Ros denominata Calatruria  poiché attraverso la ditta mugellana  Marino Cantini, infiltrata per l’accusa, da esponenti della cosca Gallace, è stato possibile ricostruire da parte del Ros il controllo del movimento terra nell’appalto del quinto lotto della strada 429 con condotte estorsive, e contemporaneamente è stato possibile ricostruire da parte dei Forestali e dei carabinieri del nucleo ecologico la collaborazione fornita da Francesco Lerose alla ditta Cantini con la fornitura di ingenti quantitativi di rifiuti contaminati smaltiti abusivamente quale sottofondo o rilevato per le opere realizzate nell’appalto pubblico.

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